MostreEx Fabrica – Gianni Cacciarini, Emiliano Baldi

11 Febbraio 20210
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19 maggio 2016. Giovedì 5 maggio, presso la galleria della Fondazione Il Bisonte si inaugura la mostra delle opere, di Gianni Cacciarini ed Emiliano Baldi. 20 incisioni e 5 grandi pitture. La mostra rimarrà aperta fino al 1 giugno 2016. Galleria Il Bisonte, Via san Niccolò 24rosso, vecchio.ilbisonte.it gallery@ilbisonte.it 0552342585 :: Due artisti (due generazioni)...

19 maggio 2016.

Giovedì 5 maggio, presso la galleria della Fondazione Il Bisonte si inaugura la mostra delle opere, di Gianni Cacciarini ed Emiliano Baldi.
20 incisioni e 5 grandi pitture. La mostra rimarrà aperta fino al 1 giugno 2016.

Galleria Il Bisonte, Via san Niccolò 24rosso,
vecchio.ilbisonte.it
gallery@ilbisonte.it
0552342585

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Due artisti (due generazioni) a confronto sul tema della fabbrica

Fu nel febbraio del 1978 e cioè quasi quarant’anni or sono che Gianni Cacciarini decise di mostrare (mi par di ricordare nella storica Galleria della libreria Gonnelli) una parte del suo lavoro di incisore, lavoro già a quel tempo piuttosto cospicuo e assai articolato, anche in ragione del fatto che quasi esclusivamente all’arte incisoria egli si era dedicato fino a quel momento. Da allora, come si suol dire, molta acqua è passata sotto i ponti e quindi molta strada ha fatto la carriera di questo artista ormai affermato tra i primissimi (e non solo come incisore, e non solo in questa sua città mai ‘tradita’ e però, come è quasi d’obbligo, soprattutto per gli artisti, caparbiamente ‘odiosamata’). Tra le tavole (e le serie tematiche o cicli) di quella giovanile esposizione si potevano distinguere, per una particolare eccellenza di esecuzione e di resa espressiva, due serie in special modo, una dedicata al motivo dei tralci e dei vitigni (in terra di Toscana) e un’altra alla rappresentazione-evocazione di fabbriche dismesse e abbandonate, impianti industriali che Gianni negli anni aveva di volta in volta individuato durante alcuni suoi vagabondaggi e sopralluoghi tra Firenze e Pisa. Si trattava di immagini di grande impatto che rimandavano da un lato (e più in positivo) al concetto di archeologia industriale (poi, come si sa, mutato in topos culturale) e dall’altro (pensando invece alle sollecitazioni emotive di quei manufatti) al fascino per tutto ciò che è residuale e mero reperto di un tempo leggendario ma con ancora i segni, pur combusti, di un’antica e fervida funzionalità. In più, la mano di Cacciarini incisore conferiva ai soggetti, così acutamente trascelti fra i tanti che si potevano incontrare nel perimetro di una certa Toscana produttiva, quella dinamica contrastiva che è propria del chiaroscuro dell’acquaforte ma trattata con una tale, radicale ricerca di spunti ed effetti ‘pittorici’, da far pensare che la laboriosa e fitta ‘quadrettatura’ tipica di quella tecnica potesse avere di mira, non già una restituzione obbligatoriamente in bianco-nero del soggetto, ma quasi volesse raggiungere un certo grado di cromatismo, seppure con allusioni coloristiche fatalmente virtuali.
Ebbene, più di recente, è poi successo che un giovane artista toscano, Emiliano Baldi, naturalmente versato nell’arte dell’incisione (ma non solo), abbia preso a frequentare fin dagli anni dell’Accademia lo studio fiorentino di Gianni Cacciarini trovando non poche sintonie con il maestro. Analogie e tangenze simpatetiche non solo con la sua ricca produzione figurativa, ma poi anche dettate da un comune background di afferenze culturali che in ultimo hanno assistito la creazione, se non proprio di un ciclo vero e proprio, almeno di una serie di tavole che appunto rappresentano la ripresa del tema della fabbrica, anche se nel caso di Baldi non nella obbligata modalità del disuso e dell’abbandono. Che il più giovane artista provenga (anche per ragioni anagrafiche) da una realtà e da un ambiente fortemente industrializzato come quello piombinese non riesce difficile intuire dalle sue composizioni, e in ciò egli si distingue abbastanza di netto dal più ‘cittadino’ e agé Cacciarini per il quale quelle costruzioni ormai decrepite e aggredite da una natura vendicatrice rivivevano principalmente in forza di una loro metafisica e dunque finemente atemporale emblematicità. Diversamente perciò dalla rappresentazione delle ciminiere e del paesaggio industriale di Emiliano Baldi. Rappresentazione lontana, la sua, da ogni più lieve aura di nostalgica poeticità anche perchè non gli resta estraneo neppure il richiamo della figura, spesso integrata (e non casualmente) proprio nel contesto più emotivamente coinvolgente di una certa realtà operaia. Nelle tavole del Baldi, infatti, non è difficile percepire una urgenza e una tensione che potremmo senz’altro definire sociale, anche se ormai dimentica di quelle istanze ideologiche così marcate che avevano distinto tutto un filone della ricerca figurativa del secondo Novecento. Baldi invece, forte di una notevole dimestichezza con le tecniche dell’acquaforte, si muove con una certa disinvoltura all’interno della tavola, alternando soggetti e figure e utilizzando uno stesso spazio per scomporlo con opportuni scomparti interni in modo da offrire alla nostra attenzione una serie di variazioni del tema, piuttosto che un soggetto ad una dimensione e per di più centrato in una sua inamovibile unicità. Anche l’immagine della fabbrica allora può subire questa sorta di moltiplicazione prospettica, ovvero questa seriazione o giustapposizione di raffigurazioni sempre diverse. Il risultato ottenuto non delude affatto, anzi riesce tanto più suggestivo in quanto la stessa struttura del falansterio anziché imporsi per l’ingombro della sua massa sembra in questo modo risaltare per una sua singolare ‘leggerezza’ che gli deriva proprio dal gesto ‘modernista’ che imprime quell’originario movimento.

Giuseppe Nicoletti

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