Maria Luigia Guaita nasce l’11 Agosto del 1912 a Pisa, città dove trascorre i primi dieci anni della sua vita. Dopo un breve periodo torinese nel 1926 la famiglia si trasferisce a Firenze. Nel 1941 viene assunta alla Banca Nazionale del Lavoro, dove lavora al servizio di sportello. Ciò le consente di avere continui rapporti con il pubblico e diventare ottimo tramite per la trasmissione di messaggi inerenti alla sua attività clandestina che per lei, in quel periodo, consiste nel procurare carte d’identità agli ebrei e ai ricercati politici. L’8 Settembre del 1943, la Guaita, durante il pranzo alla mensa della banca, tra lo stupore dei colleghi e dei superiori, fa la sua prima dichiarazione ufficiale di antifascismo. In seguito a ciò decise di non tornare in banca. Entra così nella piena clandestinità e inizia la sua attività di staffetta per il Comitato di Liberazione, le brigate partigiane e Radio Cora.
L’11 Agosto del ’44, quando Firenze viene liberata, con le truppe alleate e precisamente con il D.W.B. (il servizio segreto inglese), arriva a Firenze anche Dino Gentili, ebreo milanese da anni emigrato all’estero. Gentili incontra al Comitato di Liberazione Nazionale Carlo Ludovico Ragghianti, Luigi Boniforti, la Guaita e con loro altri compagni del partito d’azione, fonda la casa editrice “Edizioni U”, di cui la Guaita diventa segretaria di redazione.
Si deve a questa piccola casa editrice la prima pubblicazione, in Italia, di libri di autori fino ad allora proibiti nell’Italia fascista: Gaetano Salvemini, Aldo Garosci, Leo Valiani, Carlo Levi, Franco Venturi, etc. In questa nuova avventura la Guaita mette tutta se stessa cimentandosi per la prima volta con un lavoro del quale ignora tutto. I libri vengono stampati presso la Tipografia Vallecchi di Enrico Vallecchi. Fra i due nasce un affettuoso sodalizio: Vallecchi l’aiuta a superare tutte le difficoltà che il nuovo lavoro presenta. La Guaita, infatti, deve occuparsi sia della correzione delle bozze che della segreteria e della contabilità. Nella primavera del ’45, alla fine della guerra, i libri, pronti, vengono distribuiti in tutta Italia. La casa editrice chiude nel 1948, ma già dal 1946 Dino Gentili aveva portato a Prato la sua ditta “Dreyfuss Gentili”, di cui la Guaita entra a far parte. La “Dreyfuss Gentili” importa, in una Prato distrutta dalla guerra, la lana australiana aiutando gli industriali nella ricostruzione delle fabbriche, che si attrezzano come filature. La “Dreyfuss Gentili”, nel frattempo, diventa “Imex Lane” e nella società entrano anche Bruno Tassi e Roberto Cecchi, i venditori di lana della “Dreyfuss”. Tuttavia, dopo qualche tempo, la Guaita sente il bisogno di dedicarsi ad una attività a lei più affine, il giornalismo, ed inizia una collaborazione con “Il Mondo” un settimanale diretto da Mario Pannunzio. Pubblica anche un libro di memorie sulla Resistenza, “Storia di un anno grande”, col quale vince il Premio Prato nel 1958. Nel corso della sua attività giornalistica scrive un articolo che suscita grande scalpore nel quale prende le difese di una coppia pratese sposata solo civilmente che il Vescovo di Prato, Monsignor Fiordelli, aveva definito dal pulpito come “concubini puniti da Dio”, prendendo come pretesto il fatto che il marito fosse stato colpito da paralisi. Dopo l’uscita dell’articolo viene intentata una causa contro il Vescovo. La Guaita viene però invitata dai soci della “Imex Lane” a lasciare Prato per qualche tempo. Si reca in Scozia dove a Edimburgo impara a conoscere la tecnica litografica nel laboratorio dell’artista Anna Redpath. Tornata a Firenze, nel 1959, vende parte delle sue azioni “Imex Lane” e fonda la Stamperia Il Bisonte, che presto diviene la sua attività principale.
In questa nuova impresa è coadiuvata dal professor Rodolfo Margheri, pittore e incisore bravissimo, e da due stampatori, ex operai dell’Istituto Geografico Militare, oltre che da un giovane apprendista, Raffaello Becattini, che diventerà un bravissimo stampatore egli stesso.
Comincia così quella che sarebbe diventata la passione della sua vita. Con l’entusiasmo che le è proprio invita a lavorare al Bisonte i maggiori artisti italiani e in quegli anni vengono realizzate incisioni e litografie restate famose. La sede di via Ricasoli diventa troppo piccola per le esigenze del Bisonte e, morta sua madre, la Guaita lascia la casa di famiglia e compra nel quartiere di San Niccolò un vecchio negozio con annesso appartamento, dove trasferisce casa e laboratorio. Pochi mesi dopo, il 4 novembre 1966, l’alluvione dell’Arno sommerge Il Bisonte con quattro metri di acqua. La Guaita, rimasta bloccata all’interno, si salva uscendo da una finestra. La notizia del disastro fa il giro del mondo, e amici artisti l’aiutano a ricominciare. Nell’estate del 1967 Henry Moore, il grande artista inglese, va a trovarla in San Niccolò accompagnato da un amico ex partigiano che, come Art Director alla Penguins Books, sta preparando un libro su di lui. La stamperia del Bisonte sa ancora di muffa, le case della strada sono ancora puntellate, ai muri è stato tolto l’intonaco per far evaporare l’umido: Moore si commuove e promette di tornare a Firenze. Torna l’estate successiva e per due mesi lavora al Bisonte. Nascono così una cartella di sei litografie e la promessa, da parte della Guaita, di impegnarsi affinché a Firenze si possa realizzare una sua grande mostra.
Quattro anni dopo, nel 1972, le sculture di Moore sono esposte al Forte Belvedere, mentre il Bisonte ne ospita l’opera grafica. È un grande successo per Moore, per Firenze, per Il Bisonte e il suggello dell’amicizia fra l’artista inglese e la Guaita.
Nel 1974 sposa l’editore Enrico Vallecchi e nel 1981 viene insignita del titolo di Commendatore della Repubblica dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini.
In quegli anni la grafica era diventata di moda e, di conseguenza, anche un affare invadendo gallerie e mercati. Il desiderio di realizzare utili più rapidamente e con minor fatica porta tuttavia all’uso della fotoincisione. La Guaita si oppone a questa tendenza e nel 1982, dopo un dissenso con Renato Guttuso che non ha mantenuto la promessa di battersi con lei per la distinzione tra grafica originale e l’offset e ha venduto egli stesso una fotolito qualificandola come grafica originale, chiude la stamperia. Il Bisonte rimane solo come Galleria. È così che la Guaita passa dall’artigianato al commercio, pur non diventando mai, a suo dire, una buona commerciante. Le rimane la passione per l’incisione: con alcuni amici, nel 1983, crea a Firenze, nel rione di San Niccolò, un Centro Culturale e apre una scuola di specializzazione per insegnare ai giovani le tecniche tradizionali della grafica d’arte intendendo così continuare la sua battaglia contro la falsa grafica. La scuola, i cui corsi si tengono nella sede di via Giardino Serristori, in quelle che erano state le scuderie del Palazzo Serristori, è tuttora attiva.
Dal 1990, dopo la morte di Enrico Vallecchi, la Guaita dedica la gran parte del suo tempo e delle sue energie alla scuola, fino alla realizzazione, nel 2005, della fondazione “Il Bisonte – per lo studio dell’arte grafica”.
La Fondazione è destinata a dar seguito ai suoi intenti di tutela, insegnamento e divulgazione della grafica d’arte originale.
Maria Luigia Guaita muore il 26 dicembre 2007, data dalla quale Il Bisonte continua il suo cammino sotto la guida del nipote Simone, cercando di onorare con la propria attività l’eredità e l’entusiasmo della sua eccezionale fondatrice.