La tecnica dell’acquatinta, conosciuta in Olanda già verso la metà del Seicento, fu messa in auge da Jean Baptiste Le Prince (1734-1781) e portata ad alto livello espressivo da Goya. È una tecnica dalla quale si ottengono le più svariate gamme cromatiche e dà effetti molto simili all’acquerello. Occorre intervenire sulla matrice con uno specifico procedimento che corrode la superficie della lastra creando piccole asperità che incamerano l’inchiostro in stampa. Si tratta in pratica di una tecnica <<pittorica>>, rispondente a un sentire per masse, per avvolgimenti d’ombra e d’aria, per rapporti di larghe superfici di diversa luminosità. Può tornar utile, l’acquatinta, quando si vuol sottolineare un volume, o la corposità di certe parti o la loro invadenza. Per la qualità continua e omogenea che assicura ai neri è una tecnica più elementare, con qualcosa perfino di aleatorio, però indubbiamente gagliarda e certamente dotata di un suo carattere <<moderno>>, connesso con una più vivida e contrastata sensibilità. In un certo senso rappresenta l’ammodernamento del mezzotinto anche se in questo caso il compito di apprestare larghe zone di scuri viene affidato alla morsura.
Anche per l’acquatinta serve un acido per incidere la matrice. Dopo aver coperto le parti della lastra che non si vogliono trattare, si inizia la granitura ovvero la si ricopre con dei granelli di resina di colofonia. Tra un granello e l’altro di questa resina rimangono degli interstizi ( che devono essere assai piccoli), attraverso i quali penetrerà l’acido che intacca il metallo. Il risultato sarà una superficie porosa, che tratterrà l’inchiostro in tanti punti ravvicinati, per cui alla stampa si avrà una superficie scura ticchiolata.
Per assicurare una distribuzione omogenea della resina si ricorre alla cassetta dell’acquatinta. Questa è una scatola che può essere fatta ruotare oppure ha un sistema a soffietto che provoca la sospensione nell’aria della colofonia e ne assicura la lenta e uniforme ricaduta a pioggia sulla matrice. Dopo questa fase si procede alla cottura della resina provocando la fusione della colofonia in modo che i singoli granelli aderiscano alla lastra. La matrice viene scaldata dal di sotto utilizzando un fornello. La resina, a seconda del tempo di esposizione al calore cambierà colore. Finita la granitura, la matrice dovrà essere acidata: in questo caso l’acido morderà nella sottile trama dei vuoti che corre tra un granello di polvere e l’altro e non tra i segni come per l’acquaforte. A morsura ultimata la lastra va sciacquata sotto l’acqua, e poi tolte le vernici con i solventi e la resina con l’alcool.
La tecnica, grazie alle sue possibilità tonali, è vastamente adottata anche per stampe a colori.