Lo strumento principe era ed è il bulino: un’asticciola d’acciaio temprato, a sezione quadrangolare, che ad una estremità è tagliata in diagonale ( come i comuni scalpelli di legno che usano i falegnami), in modo da ottenere un filo sottile. L’altra estremità dell’asticciola è conficcata in un manico di legno grosso e stondato, tale da poter essere tenuto comodamente nel palmo della mano. Il bulino si usa spingendolo, per cui lo sforzo viene esercitato dal palmo della mano e dalle dita ( pollice, indice, medio) che servono a guidarlo, così come il polso. Il bulino non graffia: scava, per questo verrà manovrato nella direzione che va dal bordo inferiore della lastra a quello superiore e sarà tenuto ad angolo acuto rispetto alla lastra stessa.
Il <<taglio>> del bulino apre la lastra e solleva i lati e, davanti a sé, dei truciolai di metallo (detti barbe) i quali vengono asportati col raschietto che li taglia dal bordo del solco al quale sono unite. In tal modo il solco rimane con i bordi puliti: questi possono essere netti oppure venire addolciti passando leggermente il raschietto in tralice. Poiché l’azione del bulino, per poter aprire il metallo, deve essere energica, la lastra va tenuta ferma. Si appoggia su un piano solido e l’incisore provvede a spostarla tempestivamente in modo che la direzione del segno via via da incidere risulti sulla traiettoria della mano che tiene il bulino: generalmente dal basso in alto e da destra a sinistra.
L’incisione a bulino si fa su metallo, quello più indicato è il rame. Esistono bulini di varie dimensioni e da queste, oltre che dal modo e dalla forza con cui si impiegano, dipendono la maggiore e minore profondità e larghezza dei segni incisi.